Questa pandemia ha portato alla luce molte differenze, non solo socio-economiche ma anche generazionali. In questi due mesi di lockdown eravamo tutti invitati a restare a casa ma con delle eccezioni. Si è creata molta confusione, non si sapeva cosa si poteva e cosa non si poteva fare. I nostri figli non sono più rientrati a scuola da dopo le vacanze di Carnevale e dal 10 marzo sono stati costretti a non vedere più i nonni, tanto meno gli amichetti. I nostri bambini hanno risposto in maniera encomiabile al grido di #iorestoacasa. I nostri bambini sono stati incredibilmente ricettivi dell’ordinanza emanata, hanno fatto quello che è stato chiesto loro di fare ovvero restare a casa. Hanno messo da parte tutta la loro quotidianità, se la sono dovuta reinventare all’interno di quattro mura. Hanno creato una nuova realtà e la loro genuinità e semplicità li ha aiutati nel passare le giornate chiusi in casa. Ma questa quarantena non è stata vissuta da tutti i bambini allo stesso modo: c’era chi poteva giocare con il fratello/sorella, chi aveva un pezzo di giardino/terrazza, chi aveva i nonni in casa. C’era, però, anche chi non aveva nulla di tutto ciò. Soli. C’e un’intera generazione di bambini e ragazzi che è stata lasciata da parte. Invisibili agli occhi della società, non considerati. Bambini e ragazzi che hanno convissuto con i genitori, qualcuno con uno solo dei due. Bambini e ragazzi che hanno affrontato la distanza da tutto e tutti e hanno dovuto assorbire anche lo stato di incertezza e di annullamento che ha colpito i genitori stessi. Le famiglie si sono ritrovate all’improvviso senza scuola per i figli e senza lavoro per i genitori. Disarmati della loro vitalità i bambini non sono usciti di casa per due mesi. I bambini e i ragazzi sono stati completamente dimenticati. Si è tutelato il “benessere” dei cani ma non quello dei bambini. Si poteva uscire di casa una volta alla settimana e uno per famiglia e c’è chi invece ha fatto quello che ha voluto: con la scusa del cane e della spesa c’era chi usciva più volte in una giornata. Ma i nostri figli no! Loro dovevano restare a casa, chiusi, dimenticati. A questa nuova e sconfortante realtà, si è poi aggiunta una nuova sfida: la didattica a distanza. Questa metodologia ha portato alla luce ulteriori differenze, non solo economiche. Ci sono genitori che sono diventati tecnici audio-video e informatici, così dal nulla. I bambini più piccoli e comunque gli alunni che non avevano molta pratica con il computer hanno dovuto avere l’assistenza dei genitori. E’ stato richiesto uno sforzo immane, sia ai bambini sia ai genitori. La data del 4 maggio è stata vista come la data del “si può uscire”, ma… ancora altri ma. Il 4 maggio sono stati aperti i parchi ma non le aree gioco; il cane lo posso portare al parco a scorrazzare ma mio figlio non può andare sull’altalena? Il 4 maggio è stato visto come un passo verso il ritorno alla normalità, ma non per i nostri figli. I genitori sono devastati, sono esausti e chi ha figli vedrà (forse) la (parziale) normalità a settembre con la riapertura delle scuole. I bambini ora possono uscire ma non possono giocare con gli amichetti. Chi ha cugini può giocare con loro. Ma chi i cugini non li ha non può stare con l’amichetto del cuore. A scuola non si torna più e chi è all’ultimo anno di un ciclo non vedrà più i compagni di classe e gli insegnanti. E’ tutto così maledettamente demoralizzante. Non si capisce l’importanza dello stare insieme di cui hanno bisogno bambini e ragazzi in un età in cui vivono, sì, vivono e basta, vivono la loro vita, senza pregiudizi, senza interessi, ma puri nell’anima. La loro essenza genuina viene in questo modo spenta. Non ci si rende conto del trauma che si sta creando ai nostri figli. Questa è una generazione che resterà segnata a vita. I nostri figli si porteranno dietro per molti anni quelli che sono i segni di un disinteresse nei loro confronti e non ne sono consapevoli, ora. Ma quando cresceranno, e capiranno, e ci chiederanno perché, cosa risponderemo?
Firmato: una mamma di due bambine che frequentano la V elementare.
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Scritto da Martina di VeneziadeiBambini il 7 maggio 2020.